Cosa fa l’Europa per noi? Come sta
lavorando per uscire dalla crisi e per rafforzare i nostri diritti?
Domande/risposte su alcuni dei temi più importanti dell’azione europea. A cura
del PD Bruxelles
Costi e opportunità in Europa
·
E' vero che l'Italia
conferisce molti soldi al bilancio europeo e riceve molto poco indietro?
No. L'Italia è un
"contribuente netto" del bilancio europeo ma è anche il secondo paese
all'interno dell'Unione (siamo dietro solo alla Polonia) per quantità di
risorse ricevute in stanziamenti, fondi e investimenti per la politica di
coesione.
· Il bilancio europeo è un
appesantimento ulteriore per le finanze statali e l'economia nazionale?
Faremmo meglio a tenere questi soldi per noi?
No, il bilancio europeo
prevede, per il 90% delle sue risorse, investimenti da ridistribuire agli Stati
membri per finanziare quelle opere che da soli non potrebbero nemmeno
immaginare. Non possiamo prescindere dagli investimenti per far ripartire la
crescita: il bilancio europeo è l'unico strumento, al momento, che possa
prevedere un piano di investimenti
ingenti e di incentivi all'economia e ai
territori. Gli Stati membri destinerebbero davvero la stessa parte di risorse
in investimenti o la userebbero per risolvere problemi di piccolo cabotaggio ma
magari utili per campagne elettorali?
· I fondi europei sono
veramente degli strumenti utili alla crescita?
Si! Sono strumenti
indispensabili per lo sviluppo. Per fare esempi concreti, in soli 5 anni grazie
ai fondi europei destinati ai progetti di formazione, i giovani quindicenni
della regione Campania hanno accresciuto in modo sensibile, rispetto ai propri
coetanei di 5 anni prima, le competenze e i risultati scolastici (dati ricavati
dai rapporti del Ministero per l'Istruzione). Altro esempio: grazie al buon
utilizzo dei fondi europei, la metropolitana di Napoli è oggi una delle
metropolitane all'avanguardia in Europa. Ci sarebbe da chiedersi, hanno portato
più risultati i soldi dell'Europa degli ultimi anni o decenni di Cassa del
Mezzogiorno?
· I fondi europei sono
strumenti burocratici difficili da utilizzare e per questo li spendiamo poco?
In alcune regioni e realtà
territoriali andrebbero programmate una razionalizzazione e una gestione migliore
nell'impiego di queste risorse, resta però il fatto che l'utilizzo dei fondi
strutturali avviene in assoluta trasparenza. Dei fondi comunitari abbiamo piena
tracciabilità, certamente lo stesso non avviene per l'impiego delle risorse
nazionali e regionali, e non è certo una questione da poco.
· Cosa fa l'Europa per
ridurre gli sprechi?
L'Europa la propria
spending review ha già iniziato a farla (quasi 6 miliardi di euro risparmiati
nei prossimi 6 anni per l'amministrazione e altri tagli e riduzioni di
inefficienze decisi negli ultimi due anni), ma deve continuare, ad esempio
eliminando la spesa inutile per la doppia sede del Parlamento Europeo di
Strasburgo (che però può avvenire solo con l'accordo della Francia). Sul tema
degli sprechi, l''Europa è anche uno stimolo per il nostro Paese a fare passi
avanti nella lotta alla corruzione: il totale dei costi diretti della
corruzione in Italia ammonta a circa 60 miliardi di euro ogni anno, pari al 4%
del PIL italiano. Su questo, l’Italia deve diventare più europea e le sarà richiesto
di introdurre nei prossimi mesi misure più stringenti, anche in ambito
regionale e locale.
Cittadinanza
· L'Europa è una realtà
lontana, chiusa nella sua torre d'avorio e i cittadini non hanno possibilità di
influenzarne le politiche?
Non è vero! Ogni cittadino
europeo può scrivere alla Commissione europea, che è obbligata a rispondere
entro quindici giorni, basta mandare una mail al commissario responsabile o
utilizzare il sistema Europa Direct. I cittadini europei possono presentare una
petizione al Parlamento Europeo e, da pochi mesi, proporre leggi europee di
iniziativa popolare (iniziative di cittadinanza). Il modo più diretto di
influenzare la politica europea resta ovviamente quello di andare a votare alle
elezioni del 25 maggio: sulla base dei risultati, infatti, verrà indicato il
Presidente della Commissione Europea che guiderà l'esecutivo comunitario per i
prossimi cinque anni. E soprattutto, il Parlamento Europeo è ormai coinvolto a
pieno titolo nella procedura legislativa, ogni singolo voto può quindi fare la
differenza nell'adozione di direttive e regolamenti che avranno un impatto
decisivo sulla nostra vita quotidiana, oltre che nelle decisioni fondamentali
sull'utilizzo dei fondi comunitari.
· Sono un cittadino europeo,
cosa significa in pratica?
Essere un cittadino europeo
apre a ciascuno di noi l'accesso a diritti fondamentali di cui spesso non ci
rendiamo conto, primo tra tutti il diritto a circolare liberamente in Europa
senza frontiere e stabilirci in un altro paese. La cittadinanza europea ci dà
diritto all'elettorato attivo e passivo, non solo per le elezioni europee, ma
anche per le elezioni amministrative nel caso in cui ci trasferissimo a vivere
in un altro Paese. Inoltre abbiamo diritto alla rappresentanza consolare quando
viaggiamo all'estero, a proporre petizioni al Parlamento europeo e a chiedere
l'intervento del mediatore europeo. A questi diritti fondamentali si aggiungono
importanti diritti sociali in tema di accesso alla sanità, al mercato del
lavoro, o alla pensione qualora ci trasferissimo a vivere in un altro paese, o
ci trovassimo in difficoltà mentre siamo in viaggio in Europa. Questi diritti, inimmaginabili
per i nostri genitori, sono oggi parte della nostra quotidianità.
Economia
· Come far ripartire subito
l'economia? L'Europa è davvero così impotente?
La crescita europea è stata
inferiore negli ultimi anni rispetto ad altre aree del mondo anche perché la
Banca Centrale Europea (BCE), a differenza delle altre banche centrali, non è
una banca prestatrice di ultima istanza ed ha come unico obiettivo quello di
tenere i prezzi bassi. Eppure anche senza cambiare i Trattati Europei la BCE
può fare di più. Può ad esempio immettere miliardi di euro nell’economia reale
comprando azioni e titoli di Stato in borsa (gli esperti lo chiamano “allentamento
quantitativo”). Ma la BCE è prudente: aspetta prima il sostegno politico dell’Europa.
Se il nuovo Parlamento si schierasse con forza a favore di queste misure,
questo consentirebbe alla BCE di lanciare una grande operazione di immissione
di denaro fresco per investimenti e crescita.
· Dopo sei anni di crisi
economica dobbiamo ancora avere fiducia nell'euro?
L'ingresso dell'Italia
nell'euro ha portato stabilità e più vantaggi per le famiglie, abbassando i rendimenti
sui titoli di Stato e riducendo i costi nelle transazioni internazionali. Fin
dai primi anni della sua nascita l'euro si è imposto come una delle principali
monete mondiali, arrivando persino ad insidiare il primato del dollaro.
Tuttavia l'euro doveva essere solo il primo passo verso un'integrazione maggiore
degli Stati europei in senso federale. Gli economisti della Commissione europea
al tempo della creazione dell'euro avevano messo in guardia sui rischi di una
moneta unica non supportata da un bilancio federale e da una Banca Centrale
attiva per ridurre gli squilibri economici. La crisi ha fatto emergere con
forza questi elementi di debolezza. Oggi è compito della politica completare le
istituzioni e i meccanismo che faranno funzionare meglio l'euro e l'economia europea:
questa è la posta in palio con il voto del 25 maggio.
· Perché l'Europa ci chiede
di rispettare vincoli di bilancio sempre più stringenti, come il Fiscal Compact,
mentre i cittadini chiedono lavoro e prospettive per il futuro?
Bisogna innanzitutto
chiarire che l'Unione Europea non ci chiede nulla che non sia stato concordato
in precedenza tra gli Stati Membri, come il Fiscal Compact firmato anche dal
governo italiano. I vincoli di bilancio, quando si fa parte di un sistema
economico integrato come quello europeo, sono importanti poiché garantiscono
una forma di coordinamento e, per un Paese come l'Italia, sono un'assicurazione
sul futuro, riducendo il peso del debito pubblico sulla nostra economia.
Tuttavia questi vincoli, se astratti dal contesto dell'economia reale e se
utilizzati come unico strumento di politica economica sono inadeguati a far
fronte ai momenti di crisi. Accanto alle regole sul debito dobbiamo introdurre
indicatori sociali di qualità della spesa (priorità a occupazione e
investimenti), per adattare le risposte della politica economica europea alle esigenze
della società. Gli indicatori di sviluppo e coesione sociale devono avere lo
stesso peso di quelli sul deficit pubblico!
· In Italia i cittadini hanno
sempre più l'impressione che sia la sola Germania a dettare le regole della
politica economica in Europa, è davvero così?
Lo scoppio della crisi
finanziaria ha scoperchiato un panorama economico di profondi squilibri tra i Paesi
europei. La risposta dell'Europa è stata scoordinata, ovvero "ognun per
sé", senza strumenti comuni di solidarietà e riequilibrio. La Germania, il
principale Paese creditore, si è trovata a giocare un ruolo di forza relativa
rispetto ai Paesi debitori ed ha potuto avvantaggiarsi della debolezza e
timidezza degli altri governi. Proprio nel momento in cui vi sarebbe stato
maggiore bisogno di un intervento "federale" e coordinato per
tamponare gli effetti della crisi, infatti, i governi e la Commissione
continuavano a rifiutare di attuare le politiche necessarie a sostenere
l'economia nei momenti di difficoltà.
· Le questioni economiche
europee sono complesse e distanti dalla vita dei cittadini, come possiamo
rendere tutto più semplice e diretto?
Spesso continuiamo a
ragionare come se il governo nazionale avesse a disposizione tutti gli strumenti
di politica economica. In realtà non è più così. Avendo messo in comune la
politica monetaria e quindi anche la politica dei tassi di cambio e avendo
sottoscritto accordi sui vincoli di bilancio, i principali "attrezzi"
della macroeconomia sono ora gestiti a livello comunitario e non più nazionale.
Per questo motivo, l'Unione europea dovrebbe essere vissuta come una vera e
propria arena politica, dove portare precise rivendicazioni e condurre
specifiche battaglie. Votare per il Parlamento europeo non è un optional ma un
passaggio cruciale: dalla crisi ne usciremo solo se sarà l'Europa tutta a
farlo, attraverso l'adozione di un più forte coordinamento, maggiore solidarietà,
nuovi strumenti per gli investimenti.
Lavoro
· E’ vero che le riforme del
lavoro, come quella della Ministra Fornero, ce le ha ordinate la Commissione
Europea?
No, la Commissione Europea
non ha le competenze per “ordinare” ad un Paese di fare una riforma. La
sovranità sulle politiche del lavoro e del welfare rimane agli Stati nazionali.
La Commissione Europea può però fare pressioni politiche, “raccomandando” delle
linee di azione sulla base delle migliori pratiche esistenti in Europa. In questi
anni la Commissione non ha chiesto all’Italia di liberalizzare brutalmente il
mercato del lavoro. Le ha raccomandato di eliminare la discriminazione tra il
lavoro tipico e quello atipico, di tappare i buchi degli ammortizzatori
sociali, di mettere insieme dei servizi funzionanti per l’impiego, di
combattere le discriminazioni contro le donne nel lavoro. Nel 2010, il
Parlamento Europeo ha anche mandato un ammonimento ufficiale all’Italia (una
risoluzione) per spingerla a creare uno schema di reddito minimo, unico Paese
in Europa ad esserne privo.
· Com’è possibile evitare che
Paesi come la Croazia o la Romania facciano concorrenza all’Italia puntando sui
loro salari bassissimi?
L’Europa non può
intervenire direttamente per alzare i salari nei Paesi dell’Est. Ricordiamoci
che questi Paesi hanno salari bassissimi perché hanno economie poco sviluppate
e con ancora alti livelli di povertà. L’Europa può promuovere degli standard
minimi comuni al di sotto dei quali nessun lavoratore possa essere impiegato.
Già lo fa (parzialmente) con regole comuni su lavoro atipico, orario di lavoro,
regole per lavoratori distaccati all’estero, diritto al mantenimento dei diritti
previdenziali in tutta Europa. La sfida è alzare questi standard, proporre
nuove regole comuni a livello europeo, perché anche gli standard sociali più
bassi si alzino ai nostri livelli, così come i nostri livelli di protezione si
devono alzare a quelli della Svezia o della Danimarca.
· Cosa ha fatto l’Europa per
combattere la disoccupazione dei giovani in Italia?
La Garanzia Giovani è al
momento il programma più incisivo. Con questo strumento, sebbene le dotazioni
finanziarie siano ancora da migliorare, l’Unione Europea ha fatto impegnare gli
Stati a mettere in piedi servizi capaci di offrire ai giovani tra i 16 e i 29
anni una concreta opportunità di lavoro, formazione professionale, istruzione o
stage entro 4 mesi. Grazie ai Fondi Europei, l’Italia riceverà €1.5 miliardi
nei prossimi due anni per finanziare questi servizi, rivolti esclusivamente ai giovani.
La Garanzia Giovani è una goccia nel mare, è vero. Da sola non basterà a
risolvere i problemi di quasi 5 milioni di giovani italiani senza lavoro. Ma è
uno stimolo potente a fornire quei servizi di assistenza e di reinserimento ai
disoccupati che l’Italia non ha mai avuto. Ci sono tantissimi altri programmi
concreti che sono poco conosciuti per disinformazione e perché hanno un budget
risicato. Uno è molto noto ed è l’Erasmus. Esistono anche un Erasmus per
Giovani Imprenditori, il Servizio Civile Europeo e altri strumenti di
micro-finanziamento.
· Quali iniziative potrebbe
prendere l’Unione Europea per migliorare la protezione dei lavoratori?
Da tempo si discute di
istituire un sussidio di disoccupazione europeo. L’Unione Europea finanzierebbe
un primo sussidio per chi perde il lavoro della durata di alcuni mesi, a cui
gli Stati potrebbero aggiungere ulteriore protezione. In questo modo, gli Stati
con una situazione economica migliore offrirebbero solidarietà concreta ai
lavoratori degli Stati che stanno peggio. Si parla anche di istituire un
salario minimo europeo. L’Unione non ha però alcuna competenza per agire sui
salari che sono responsabilità delle parti sociali e dei governi nazionali. La
proposta più concreta è quella che l’Unione fissi una regola comune affinché il
salario minimo nei singoli Stati non possa scendere al disotto di una
determinata soglia nazionale, ad esempio che nessun lavoratore possa prendere
meno del 60% del salario medio del proprio Paese. Infine, esiste già un diritto
del lavoro europeo con delle regole uguali per tutti i lavoratori in qualsiasi
Paese. Ad esempio, i lavoratori con i principali contratti atipici (a tempo
determinato, parziale, gli interinali) devono avere pari trattamento con i
lavoratori a tempo indeterminato e a tempo pieno; i licenziamenti collettivi
non possono avvenire senza la consultazione dei sindacati e senza un piano sociale;
l’orario di lavoro non può superare 40 ore settimanali. Nel futuro dobbiamo
però estendere le tutele europee in altri ambiti, per esempio fare delle regole
comuni sui licenziamenti individuali, regolare il falso lavoro autonomo, non
permettere gli stage non pagati.
Immigrazione
· L'Italia è un paese di
frontiera, cosa fa l'Europa per aiutarci a gestire i flussi migratori?
L'Italia è il secondo
maggiore beneficiario dei fondi europei nel settore dell'immigrazione e dell'asilo
e il maggiore beneficiario se si considera solamente il fondo per
l'integrazione. Negli ultimi anni sono stati molto importanti i fondi dati
all'Italia per rafforzare il proprio sistema di gestione dell'immigrazione e
delle frontiere, 22 milioni sono stati stanziati solo lo scorso anno per far
fronte alla tragedia di Lampedusa (il 50% dei fondi di emergenza disponibili a
livello europeo in quel momento). Ma non si tratta solo di fondi, l'Italia
riceve supporto costante da parte di due agenzie europee, Frontex e EASO che
mettono a disposizione delle autorità italiane materiali e esperti di altri
paesi. L'Europa non lascia sola l'Italia, ma la solidarietà europea può
funzionare solo se le autorità nazionali si impegnano in un serio processo di
riforma della gestione dei flussi migratori e dei richiedenti asilo.
· Come può l'Europa
intervenire per migliorare le condizioni nei centri di accoglienza per gli immigrati
e la procedura per le domande di asilo?
Grazie all'Europa, in tutti
gli stati membri esistono normative specifiche per la richiesta di asilo politico
e per la gestione dei rimpatri. Senza queste normative, che uniformano le
procedure e i diritti dei migranti, oggi l'Italia sarebbe probabilmente
sprovvista di qualsiasi garanzia per i migranti che si trovano a vivere
l'esperienza del CIE o che hanno depositato una richiesta di asilo. Gli eventi
degli scorsi mesi testimoniano purtroppo che l'Italia è carente
nell'applicazione della normativa e nel rispetto dei diritti garantiti ai
migranti, per questa ragione la Commissione Europea ha avviato una procedura di
infrazione contro l'Italia nel settore dell'asilo.
· Il peso dei richiedenti
asilo ricade interamente sulle spalle dei Paesi del Sud Europa?
Non è vero che la maggior
parte dei richiedenti asilo arrivano in Italia, secondo i dati EUROSTAT l'Italia
è solamente quinta nella graduatoria dei paesi che ricevono domande di asilo,
con una percentuale proporzionale al proprio peso economico e demografico
nell'Unione Europea. Il sistema europeo di gestione delle politiche di asilo
inoltre è stato appena riformato rafforzando i diritti garantiti ai richiedenti
asilo, in particolare stabilendo che se un migrante ha familiari in un altro
paese europeo, quest'ultimo sia quello responsabile ad esaminare la sua
richiesta, indipendentemente dal paese di ingresso nell'Unione.
· L'Europa è stata troppo
aperta con gli immigrati, dobbiamo proteggere i nostri posti di lavoro ed evitare
che i nostri sistemi di sicurezza sociale siano abusati.
In primo luogo è importante
differenziare tra comunitari ed extracomunitari. I primi sono portatori di
diritti direttamente per l'appartenenza alla comune cittadinanza europea,
mentre i secondi li acquisiscono sulla base dello status di cui godono
(rifugiati, migranti di lungo periodo...). In ogni caso dobbiamo essere
consapevoli che sono proprio gli immigrati che negli ultimi anni hanno contribuito
in maniera fondamentale alla tenuta economica, sono loro spesso ad aprire le
nuove aziende e ad aiutarci a combattere il calo demografico in atto in Europa
che rende insostenibile il nostro sistema di welfare e pensionistico.