Un potere gentile, calibrato da coscienza e responsabilità, contrapposto a quello cinico e spietato teorizzato da Machiavelli: è quello che Marco Follini, autore del saggio “Io voto Shakespeare”, edito da Marsilio, attribuisce al grande drammaturgo inglese. Un “soft power” che per il senatore del PD, intervenuto venerdì 10 agosto a Suzzara alla Festa Democratica provinciale, farebbe un gran bene anche alla politica italiana. “Passare dal teatrino di Montecitorio al teatro shakespereano sarebbe un grande successo” scherza Follini, che nel Bardo ritrova insegnamenti importanti, nonostante i più di quattro secoli di storia trascorsi.
“Nel raccontare la politica dei suoi tempi, che pure era spesso brutale, Shakespeare descrive con delicatezza uomini di potere che, pur macchiandosi di atroci delitti, come Macbeth, sono poi tormentati dal senso di colpa. Segno che – sottolinea Follini – in loro sopravvivono comunque coscienza e responsabilità”. Salvo Iago, non c'è dunque nessun cattivo assoluto nel mondo di Shakespeare, attento a raccontare l'intrinseca ambivalenza del potere, che al tempo stesso è ambizione e sofferenza, gloria e rovina.
E' un salto di qualità, innanzitutto morale, quello invocato da Follini: “dopo l'illusionismo di Berlusconi, servono oggi più che mai senso della misura, responsabilità e soprattutto onestà intellettuale”. La stessa che oggi, secondo il senatore PD, si traduce nel rigore di Monti, ma che sarà più che mai necessaria al prossimo governo per traghettare il Paese fuori dalla crisi.
E proprio in vista delle elezioni del 2013, Follini guarda con interesse alla nuova “Cosa Bianca” cui sta lavorando Casini: “un'alleanza naturale”, quella col polo centrista, come già ribadito da Bersani. Follini d'altronde è uomo di centro. Gli esordi nella DC ai tempi di Moro (“come ogni grande statista parlava poco, ma ascoltava molto, perfino me che ero solo uno studente ventenne”), poi la leadership dell'UDC, abbandonata per il PD nel 2006, all'indomani dell'approvazione del Porcellum. “Una legge da cambiare al più presto”, ribadisce Follini, che si toglie un sassolino dalla scarpa: “quando lasciai l'Udc per il PD fui trattato come un ufficiale zarista che avesse chiesto di arruolarsi nell'Armata Rossa. A tanto tempo di distanza, prendo atto che tante persone che allora criticarono la mia scelta hanno poi seguito lo stesso percorso”. “Ora serve un grande sforzo di coesione: chiamare a raccolta le tradizioni più importanti del Paese, quella progressista e riformista e quella moderata, intrecciare tra loro queste culture in un dialogo che ci aiuti ad uscire dalla fase più acuta della crisi, che è proprio quella che stiamo vivendo oggi. Poi strada facendo ognuno riprenderà la sua strada e potranno essere anche percorsi opposti”. “In questo momento – conclude Follini - un grande sforzo di unità va fatto, come già tentarono di fare Moro e Berlinguer negli anni Settanta, quando la crisi del Paese non era da meno”.